Vicenza, 2004
Di certe cose (e purtroppo anche di certe persone) ci si cura solamente quando mancano. E magari in quell’occasione ti accorgi pure che ci tenevi. Forse è capitato così anche per un simbolo assai presente nel panorama quotidiano della nostra vita, sia privata che pubblica: il crocifisso. Fino a che si tratta di una presenza scontata, lo si usa come soprammobile o monile; appena qualcuno osa toccarlo (nel caso concreto un musulmano non rappresentativo della sua gente e della sua cultura) apriti cielo! I primi a cavalcare la reazione sono stati i politici, con intenti tutt’altro che nobili; poi tutti coloro che non si rassegnano al fatto che ormai l’Italia è un paese secolarizzato, entrato definitivamente nella post-cristianità; infine quanti in questa occasione si sono davvero interrogati sul significato di questo simbolo, non così innocuo come potrebbe sembrare. |
Non dimentichiamo infatti che all’origine della scelta fatta dai cristiani – di fare della croce il proprio segno identitario – sta lo sconcerto così ben riassunto da Paolo: E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini (1Cor 1,22-25). Una società, quindi, se riconosce che le sue radici culturali hanno a che fare con questo simbolo, non può non chiedersi quali siano le scelte etiche in sintonia con tale matrice. Meraviglia, pertanto, che a sbandierare il crocifisso sia chi non esita a legittimare imperialismi economici e militari.
La complessità del problema posto – non anzitutto crocifisso sì o crocifisso no, ma che cosa esso significhi per la coscienza occidentale ed europea, confrontata sempre più con la multiculturalità – ha avuto eco negli incontri del breve ciclo di dialogo e confronto, i cui Atti sono ora pubblicati:
In croce fisso: provocazioni da un simbolo. |
Si tratta di una iniziativa collaudata, che si rivolge a quanti vogliono pensosamente confrontarsi su temi di apertura e respiro, in modo laico ma significativamente riferito alla grande tradizione religiosa e di fede custodita dalla comunità cristiana. Essa vede l?apporto del Centro Presenza Donna, dell’ Ufficio diocesano per l’evangelizzazione e la catechesi e (da quest’anno) dell’Ufficio per il servizio culturale; a testimoniare il tentativo di aprire al confronto non soli i singoli ma una chiesa diocesana, tentata troppo spesso (come ogni istituzioni) di assumere atteggiamenti di chiusura e di conservazione. La qualità degli apporti e il coinvolgimento delle persone hanno testimoniato, in questi anni, che si tratta di una scelta proficua e quindi di una strada da tenere aperta. |
I tre relatori chiamati a reagire di fronte al crocifisso non hanno solo parlato e argomentato, hanno testimoniato. Se infatti l’intervento di Dacia Maraini parte proprio dalla memoria di una bambina che, in collegio, guarda al crocifisso per rassicurare il cuore e sentirsi pacificata; e se il racconto del vescovo Henri Teissier è caldo della vita di una chiesa e di un popolo, che non possono incontrarsi sul crocifisso, ma su quello che da esso promana: una indefessa volontà di accoglienza e di amore; il contributo di Massimo Cacciari ha il rigore delle idee e l’incandescenza dell’oracolo profetico, coinvolgente perché coinvolto. Tre differenti modalità di mettere al centro Colui che, in croce fisso, non cessa di interrogare anzitutto chi vorrebbe impossessarsene – fosse pure per rivendicare un alto simbolo culturale, che tuttavia non può non sfuggire ad ogni operazione riduttiva. L’augurio è che un’autentica ricomprensione della croce la faccia diventare così nostra da non esserlo più; essa parli a tutti, di un Dio di tutti, a favore di una società finalmente a misura di ciascuno.