Giornata di studio
La giornata di formazione, organizzata dall’Associazione Presenza Donna il 18 settembre 2010 a Breganze, ha proposto una riflessione sul tema “Femminismi nella chiesa”. Tenendo conto dei crescenti interrogativi sulla figura della donna, che provengono oggi specialmente dal mondo laico, la proposta riguardava il tentativo di guardare cosa sta maturando nella nostra chiesa e se si possono scorgere segni di un nuovo femminismo cristiano. La giornata ha proposto all’assemblea i significativi contributi di Angela Ales Bello con una relazione su “Dalle origini ad oggi: neofemminismo cristiano?” e, nel pomeriggio, un dialogo tra la prof.ssa Ales Bello e Don Dario Vivian “In principio, maschio e femmina li creò: quale reciprocità nella Chiesa?”. Dalle parole di Ales Bello, prima donna decano di una Facoltà Teologica pontificia, è possibile lasciarsi interrogare da questa sfida del nostro tempo, cogliendo anche quei segni di speranza che devono trovare “fondamento” nelle nostre parole, ma soprattutto nel nostro agire, affinché la nostra chiesa divenga davvero una realtà di comunione di carismi e promozione di ministeri al servizio del Regno di Dio, dove anche la presenza e l’apporto delle donne venga pienamente realizzato.
Ha ancora un significato, nei nostri tempi, ritrovarsi a parlare di temi riguardanti il femminismo?
Credo che sia molto importante riflettere insieme su questi argomenti. Io sono ormai in una fase della vita in cui dico che non basta la riflessione, bisogna anche agire, però è chiaro che l’azione deve essere stimolata e sostenuta da una seria teoria. Allora ognuno di noi è invitato, nell’ambito esistenziale in cui si trova, anche nell’ambito di vita semplicemente familiare, a mettere in atto alcune proposizioni, alcune piccole verità, che si riescono a cogliere attraverso un atteggiamento riflessivo. Sono convinta che questi incontri sono importanti nella misura in cui poi, effettivamente, hanno una ricaduta sul piano pratico. Penso che ogni momento della nostra vita, anche nelle azioni più semplici, dovrebbe essere improntato a ciò che riteniamo effettivamente sia valido e giusto.
In questi ultimi anni, sono state sollevate molte questioni rispetto al rapporto tra il femminismo e la Chiesa, in un confronto che non sempre è stato aperto al dialogo e rispettoso delle diverse posizioni. È possibile stabilire un legame “originario” tra il pensiero del cristianesimo e il percorso del femminismo?
Io farei una affermazione perentoria: il ruolo del femminile e l’importanza della donna sono stati messi in evidenza proprio dal Cristianesimo. Questo si può dire esaminando tutte le culture sia quelle del passato che quelle del presente. Il Cristianesimo ha avuto -anzi voglio essere più precisa- il messaggio di Gesù Cristo ha avuto una funzione rivoluzionaria dal punto di vista antropologico, cioè rispetto alla domanda: “che cos’è l’essere umano?”. L’azione di Gesù nei confronti di una trasformazione antropologica, di dare un senso autentico e vero all’essere umano articolato nel maschile e nel femminile, è qualche cosa di straordinario, una visione assolutamente innovativa, anzi io credo che potrebbe essere una prova intellettuale che Gesù non poteva essere soltanto un essere umano. Rovesciando un po’ la cosa: non è possibile che un essere solo umano, dicesse o facesse le cose che ha detto e fatto Gesù e in particolare noi lo notiamo rispetto alla questione della donna, perché indubbiamente la storia ci porta a riflettere sul fatto che, in tutte le culture, il ruolo del femminile era stato un ruolo sempre secondario dal punto di vista pubblico. Il messaggio di Gesù, quello che ha detto ed è stato tramandato nei Vangeli, è all’origine del femminismo. Questo è un punto molto importante che le stesse femministe, per varie ragioni, non hanno più tenuto in considerazione nelle epoche successive.
Si può davvero, secondo lei, parlare di un neofemminismo in questo tempo che stiamo vivendo e che ci interpella?
Non so se si può parlare di un neo femminismo; bisogna anche vedere se intendiamo neo femminismo nella chiesa o fuori dalla chiesa, perché il processo di laicizzazione c’è e non possiamo nasconderlo. Debbo dire che forse, progressivamente, c’è una attenzione più forte nei confronti della dimensione religiosa, non parlo del cristianesimo, ma della dimensione religiosa. Rispetto al femminismo nella chiesa, in Italia ci sono delle teologhe che si considerano davvero femministe, penso alla Militello, alla Perrone e a molte altre, e direi che questo è il nuovo femminismo nella chiesa, anche dal punto di vista teorico. Nel libro “Teologhe in Italia” hanno fatto un bel lavoro, mettendo in evidenza quali sono le loro caratteristiche. Anche il sottotitolo è interessante: “Indagine su una tenace minoranza”! Io credo che il termine femminismo, in Italia, sia stato accettato completamente anche all’interno della ricerca teologica.
Dal suo punto di vista, è possibile leggere attualmente nella chiesa una maggiore apertura rispetto al tema del femminile, o siano di fronte a una “involuzione” che rende sempre più relegata ai piccoli gruppi la riflessione sulla donna?
A riflettere su questo tema è una minoranza, certo, però questo richiama alla responsabilità del singolo nella cerchia di contatti umani che ha. Non dobbiamo demandare a istituzioni ‘alte’ ma piuttosto aspettarci poco dal di fuori e molto da noi stessi. Dico questo perché se ogni singolo facesse veramente questo lavoro, si creerebbe una struttura comunitaria significativa. È chiaro che noi dobbiamo fare anche un progetto che può cambiare qualcosa dall’alto, però il grande progetto ci porta spesso ad una frustrazione perché è difficile che si realizzi. Se ci fosse veramente un impegno personale, continuo e preciso di tutti anche nelle cose più semplici, la realtà cambierebbe. Dire quando è necessario dire, agire negli spazi che si hanno, e questo non esclude che poi si possano fare anche dei progetti più ampi e coinvolgenti, tenendo conto però che, anche nelle associazioni se notiamo, il coinvolgimento è sempre personale, perché lo spirito comunitario vuol dire che io mi prendo cura di ciascuno e ognuno si prende cura dell’altro. Mi piace molto questa questione del singolo perché è un elemento importantissimo che però non esclude anche questa dilatazione in prospettive più ampie, consentendo di rendere l’ideale sempre più diffuso, ma senza illusioni o idealizzazioni del tipo: “adesso risolviamo i problemi”. Rispetto ad una involuzione nella chiesa credo che questo sia il tema del “male” perché nessuna conquista storica è definitiva, nemmeno quando ci sembra di aver raggiunto effettivamente un traguardo, se non altro a livello di comprensione. L’involuzione, è possibile e i motivi li dobbiamo analizzare di volta in volta. Spesso il male si lega alle strutture di potere e, in fondo, il tema delle tentazioni è un tema fondamentale anche nel testo evangelico: “sarai padrone di tutto questo”. Certo, nei momenti di involuzione noi ci sentiamo a disagio, ci sentiamo male e allora bisogna cercare di lottare.
Cosa fare allora perché, dal punto di vista cristiano, la funzione della donna sia riconosciuta?
Tradizionalmente le vie sono due: o la rivolta o l’assoggettamento. Bisognerebbe trovarne una terza, se possibile, perché la rivolta non dà frutti e l’assoggettamento non porta da nessuna parte e allora io direi che è necessario un lavoro paziente, anche se paziente è un termine che non piace molto, costruttivo, fattivo, con l’amore per le persone, ma non per quello che fanno! È un discorso un po’ difficile, ma indica il far capire che l’altro è accettato come essere umano, ma non per certe azioni che non dovrebbe compiere. Anzi, mostrare con i testi evangelici alla mano, in coerenza con il messaggio di Gesù Cristo, che cosa dovrebbe fare. E questo sarebbe necessario riuscire a farlo in ogni situazione. Bisogna riconoscere, però, che siamo in un momento di stanchezza, e questo vale anche per il femminismo fuori dalla chiesa; si è persa la ‘grinta’ di un tempo, forse perché qualcosa è stato oggettivamente ottenuto, però finché si ottiene sporadicamente, attraverso ‘quote rosa’ o perché una persona riesce, questo è un elemento negativo. Finché non c’è una mentalità di accoglienza più profonda, effettivamente bisogna lottare, consapevoli anche che senza un coinvolgimento del maschile non risolveremo la cosa. Per questo mi piace la Stein, perché lei aveva capito che non si trattava solo di una rivendicazione, ma che l’obiettivo era quello di “mettere insieme”, certamente con le differenze, però con questo orizzonte. Qui la Stein è radicale e dice che questo è il tema del peccato originale, il tema del male. Non possiamo sperare di risolvere la cosa radicalmente, però possiamo sperare di migliorare la situazione. Io distinguo tra utopia e speranza. L’utopia è un progetto alternativo che è bene che si faccia, ma che non tiene conto della mediazione, della concretezza esistenziale e della singolarità. Si deve naturalmente avere un progetto ideale, però con grande senso di realismo. Come posso farlo veramente? Quali sono gli strumenti che ho a portata di mano? Io questa la chiamo speranza.