Guidati con Maria Teresa Milano
Il 27 settembre 2017, presso il Centro Culturale San Paolo di Vicenza, ha avuto luogo la presentazione del libro La voce è tutto. Mosaico di donne nel mondo ebraico di Maria Teresa Milano, scrittrice ed ebraista. Riproponiamo qui alcune tappe del viaggio che ci ha fatto fare: qualche stralcio delle parole di Maria Teresa Milano accompagnate da video musicali, dove si coglie il significato autentico della voce nel mondo ebraico: un mezzo di comunicazione capace di raccordare tradizioni, origini ed evoluzioni di un popolo antico.
LA VOCE DI MIRIAM LA PROFETESSA
“Pensando alle origini del popolo ebraico, non possiamo che citare il passaggio del Mar Rosso verso la Terra Promessa (Es 13,17 – 14,29). Gli ebrei escono dall’Egitto guidati da Mosè, e una volta giunti all’altra sponda egli intona la sua lode a Dio pregando in prima persona. Dopo la sua elegia, il narratore biblico si focalizza sulla figura di Miriam, la profetessa (che fino a quel momento è conosciuta solo come sorella di Mosè e Aronne), nel momento in cui prende in mano il tamburello (tov Miriam) e comincia a cantare e danzare, seguita poi da donne e uomini. Questo ci fa capire che se Mosè è l’espressione elitaria che parla in prima persona, Miriam diventa l’espressione popolare dal momento in cui dice “cantate”. La Bibbia, quindi, attribuisce a una donna il momento più importante della storia ebraica, celebrata dal canto di Miriam. Di lì a poco però, nei primi secoli dopo Cristo, verrà stilato nei testi sacri ebraici un nuovo testo, il Talmud, ossia una serie di regole e insegnamenti per seguire al meglio la legge ebraica, dove la voce della donna sarà definita ervà, cioè nudità, e si giungerà così il divieto di ascoltare la voce della donna.
Di seguito vi proponiamo Peimat Miriam, un canto di donne accompagnate da tamburelli che ricordano ed elogiano la figura della profetessa”.
LA VOCE DI NOA
“Il popolo ebraico, come ben sappiamo, è sempre stato conosciuto come una comunità “viaggiante”. Anche in questo caso la voce è la protagonista che raccorda tradizioni e nuove frontiere, qui rappresentate dalla cantante Noa, una cantante di origine israelo-yemenita. Ha solo due anni quando la famiglia si trasferisce da Tel-Aviv a New York, e cresce con la musica pop e l’inglese ma senza mai dimenticare i canti della tradizione ebraica yemenita. “Ho ascoltato tanti canti della mia tradizione, ma nessuno era bello quanto quelli cantati dalla nonna”, dice Noa, e questo ci comunica l’importanza della trasmissione del canto che passa da una donna alla generazione successiva, spesso dalla nonna alla nipote, individuando in questo uno spazio femminile. Per ragioni sentimentali Noa si trasferirà definitivamente a Tel-Aviv conciliando il servizio militare obbligatorio alla passione per la musica, e progetta nuove canzoni in inglese e in ebraico raccontando la sua storia di appartenenza alla tradizione ebraica. Nel 2008, quando si sposa, appende all’armadio i jeans e indossa un abito tradizionale ebraico-yemenita. Da qui nasce l’album Genes jeans che ci racconta la sua presa di coscienza e appartenenza alla tradizione ebraica”.
LA VOCE DELLE NONNE
“Questa eredità di trasmissione culturale c’è sempre stata attraverso i racconti e l’accudimento delle nonne, ma questa realtà è ancora più presente nell’area sefardita (ossia separata), indicando l’area del bacino mediterraneo. Fin dai primi anni dopo Cristo e specialmente nel Medioevo, le donne cantavano tutta una serie di canti popolari, come i canti del sabato, e moltissime canzoni legate al matrimonio e al fidanzamento dove i testi sono delle vere e proprie istruzioni per la futura sposa. Sono cantate in varie lingue, dallo spagnolo al tedesco oppure nei dialetti della diaspora come l’yiddish. Tra i canti più celebri ci sono le ninne nanne, parte di un patrimonio folcloristico che fa emergere il valore del ruolo femminile. L’esempio qui riportato è una ninna nanna dell’area sefardita intitolato Kanticas de mi nona.”
LA VOCE CHE CONQUISTA LE RADIO AMERICANE
“Fra le più celebri migrazioni del popolo ebreo le più importanti, specialmente per fattore numerico, sono quelle verso l’America tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900. La maggior parte dei migranti ebrei provengono dall’est Europa, in cerca di un futuro migliore nella “patria d’oro”. Nel momento in cui questo grande gruppo numerico approda negli Stati Uniti mantiene la lingua yiddish e l’identità ebraica, declinandola però in una società nuova ed emergente che cerca di trasmettere questi valori non solo nella famiglia ma anche attraverso trasmissioni radio e televisive, nella musica e nella letteratura. In questo gruppo rientrano le Barry Sisters, le artiste rivoluzionarie che cantano lo swing americano nella lingua yiddish, con un successo mondiale. Proponiamo qui il celebre brano Chiribim Chiribom”.
LA VOCE DELLA SPERANZA
“C’è un momento in cui il canto yiddish rimane nelle famiglie e nel canto delle donne nonostante il dolore della Seconda guerra mondiale, ma senza esser reso pubblico. Quando viene aperto il campo di Bergen Belsen, la BBC è alle porte e la prima cosa che registra è un gruppo di internati che canta Hatikva, che significa speranza. Un canto che ha molteplici significati, lo cantava chi partiva con i treni per giungere al campo di concentramento e lo cantava molto spesso da chi si incamminava verso le camere a gas, “tu mi stai portando a morire e io canto la speranza”. Intorno al 1968 cantare in yiddish sarà una forma di protesta che, grazie alla presa di coscienza e alle proteste del popolo tedesco, riporterà in scena il canto yiddish. Ecco il video di Ofir bren shitrit, il canto della speranza, rielaborato da una cantante israeliana”.
LA VOCE DELLA DIGNITÀ E DELLA PACE
“Parlando di eserciti militari, sappiamo che in Israele il servizio militare è obbligatorio anche per le donne, e sappiamo anche che chi segue la legge ebraica con un certo rigore ha il divieto di ascoltare la voce della donna. Nel 2011 c’è stato un episodio molto discusso in Israele: in un campo di addestramento militare è stata chiamata una band per concludere una cerimonia ufficiale. La band in questione aveva una cantante donna, e prima che potesse esibirsi dei militari si sono alzati e se ne sono andati per non ascoltarla dicendo che il Talmud lo vietava. Dopo una lunga discussione col comandante c’è chi è tornato indietro e chi no. Questo ha scatenato l’opinione pubblica e nonostante i contrari o i favorevoli si è comunque giunti ad una grande apertura in favore delle donne, dandoci un dato certo: le donne israeliane hanno ottenuto molti più ruoli di leadership rispetto ad anni fa. E la cosa interessante è che nel nome di questi movimenti c’è sempre stata la parola “voce”; essa diviene un mezzo di comunicazione e pace. Nell’ultimo video qui proposto assistiamo a un canto dove i protagonisti sono una soldatessa israeliana e un soldato ebreo di origine etiope, ovvero un falasha. Se ora come ora non è più ritenuto uno “scandalo” ascoltare una voce femminile, attualmente i falasha sono ancora discriminati e giudicati dal popolo israeliano. In questo concerto militare ognuno è uguale all’altro e ciò viene rivendicato attraverso la voce dei due protagonisti e dei compagni lì presenti, che li sostengono attraverso un coro unanime di voci”.