Riflessioni in dialogo con alcuni articoli letti durante il Servizio civile
Senza i sensi la fede è ragionamento su Dio, con i sensi è esperienza di Dio. La fede, infatti, implica tutta la vita e la persona, passa attraverso il corpo e i suoi linguaggi che sono appunto i sensi: sponde del cuore e finestre sull’invisibile. (A. Cencini)
I sensi: il mezzo di comunicazione più strabiliante e misterioso di cui ogni donna e ogni uomo è custode per relazionarsi con gli altri, e al tempo stesso con Dio, per farne esperienza. Vista, udito, olfatto, gusto e tatto sono doni ricevuti a seguito di un immenso spreco d’amore affinché ciascuno di noi potesse vivere generando a sua volta sguardi nuovi nei propri occhi e negli occhi di quanti incontri sul suo cammino; di parole nuove, comprensive, capaci di affetto, intime, testimoni di grazia ricevuta e rimessa in circolo nel bene; di profumi nuovi, che non disprezzano più l’odore delle povertà umane, ma ne esaltano l’essenza; di sapori nuovi, memoria di un’antica alleanza che si rinnova sulle tavole nella quotidianità del mondo; di gesti nuovi (o rinnovati), perché l’esistenza di ognuno torni ad essere degna del nome che porta.
Le vicende di molti uomini e donne nel corso della storia sono un esempio a cui guardare per riscoprirsi capaci della percezione divina nella propria vita. Secondo il vangelo di Matteo, mentre Gesù siede alla mensa nella casa di Simone il lebbroso a Betania, una donna dall’identità non precisata (cui potrebbe forse sostituirsi ciascuno di noi) entra in casa, rompe un vasetto di alabastro e gli cosparge il capo con l’olio profumato che vi era contenuto, suscitando lo sdegno di alcuni dei presenti. L’aver infranto – spezzandolo – l’alabastro del nardo, è quel gesto che dimostra da parte della donna il suo aver accolto il mistero della vita del Figlio di Dio che di lì a poco sarà spezzata sulla croce, per amore. È intriso d’amore il gesto della donna che ha intuito l’amore folle di Gesù; è intriso di profumo tutto l’ambiente che si satura del preziosissimo olio, un olio letteralmente «fedele» (dal greco pistis), «autentico», così come autentica era la fede di quella donna sconosciuta, che ha scelto di aderire a Cristo anche nella morte perché certa di ritrovarlo in una pienezza di vita. [Leggi qui l’articolo completo di C. Huerta, Donne Chiesa Mondo, n.78/2019]
Il gusto di Dio si sperimenta laddove ci si riconosce bisognosi di saziarsi perché affamati o assetati fisicamente o spiritualmente; è quell’istinto primordiale che sostenuto dalla Fede porta alla capacità-libertà piena di gustare Dio stesso. Esperienza intima e profonda attraverso cui «evangelizzare il gusto» è, dunque, l’Eucarestia, tempo dentro il quale ci si educa alla bellezza, riconoscendola in noi e attorno a noi, perché con (e in) Gesù ogni battezzata e ogni battezzato è chiamato a rivivere i sentimenti, lo stile di vita che lui stesso dona e di cui rende partecipi. Nella sua Summa Aurea, un teologo del XIII secolo, Guglielmo d’Auxerre, si esprimeva così per narrare l’esperienza della vita divina che invade il fedele: «Di questo pane si afferma con verità che reca in sé ogni diletto: lo sguardo spirituale con la sua bellezza; l’udito spirituale con la sua melodia; l’olfatto spirituale con il suo profumo; il gusto spirituale con la sua dolcezza; il tatto spirituale con la sua soavità». [Leggi qui l’articolo completo di E. Bianchi, Donne Chiesa Mondo, n.74/2018]
Angela Bipendu (suora congolese delle Discepole del Redentore) ha sperimentato che l’incontro tattile vissuto alla luce del Vangelo è parte di un’esperienza liberante: di fronte agli incessanti sbarchi di migranti sulle coste siciliane ha scelto di rispondere ancora una volta un «si!» deciso a Cristo, lasciando la comunità e spostando il suo baricentro di fede nel Mediterraneo, per fare del mare la sua seconda casa. Qui più di ogni altro senso ha educato il tatto, afferrando le mani disperate di uomini in cerca di salvezza, carezzando il volto di donne inconsolabili per la perdita dei figli lungo la traversata, dispensando una tenerezza materna che non è poi così estranea all’esperienza biblica di Dio padre e madre, rintracciabile nelle mani poste sulla schiena del figliol prodigo. [Leggi qui l’articolo completo di T. Fabiani, Donne Chiesa Mondo, n.76/2019]
L’impronta di Dio si esplicita nella vita dell’uomo e della donna, dunque, quando diventano consapevoli di poter essere a loro volta generatori di vita nuova per il futuro del mondo, «spendendosi» nella totalità dei propri sensi a servizio dei fratelli e delle sorelle.
Lara Iannascoli