Quando il grido diventa canto che emoziona
“A travers le grillage
je vois de ma prison
reverdir le feuillage
fleurir le vert gazon
je vois de ma fenêtre
l’hirondelle accourir
le printemp va renaître
et moi je vois mourir
et moi je vois mourir”…
(da una canzone di prigionia ed esilio del popolo valdese)
Martedì 24 settembre presso il Centro Culturale San Paolo, il Gruppo Teatro Angrogna ha riproposto il recital-testimonianza Li Valdés che narra della secolare storia di libertà e persecuzione vissuta dai Valdesi. Una storia che non si legge sui libri di storia a scuola, ma che dev’essere riscoperta a partire dai luoghi che ancora oggi abitano e vivono, in particolar modo nelle valli valdesi. Ha una storia lunghissima questo popolo, che ha inizio nel 1170: dopo l’esperienza dei poveri di Lione con Pietro Valdo, i primi membri della comunità sono arrivati in Italia, e da subito sono stati oggetto di moltissime persecuzioni, dovendo divenire chiesa di diaspora e fuggire da allora più e più volte. Nel 1400 si sono trovati nelle valli valdesi per poi aderire nel 1532 alla Riforma protestante. Nel 1848 hanno ottenuto i diritti civili e successivamente anche quello di professare la loro religione, ma ancora solamente all’interno delle valli. I tempi moderni non vedono più la persecuzione, per cui i valdesi – e i metodisti – possono tranquillamente vivere la loro fede e professare il proprio credo.
Nell’emozionante pièce teatrale, scritta da Jean Louis Sappè (uno dei fondatori del gruppo), si è preso spunto dalla storia vissuta dalla popolazione per «fare cultura», perché da sempre i valdesi hanno unito alla loro storia di fede anche la cultura. In diverse melodie, i cui testi sono stati accompagnati nella loro bellezza, particolarità e (talvolta) drammaticità da una ghironda e una chitarra, sono ritornati i temi della prigionia, dell’esilio, della scelta consapevole di non rinnegare la propria fede mai, neppure davanti all’imposizione di quella cattolica; e poi ancora l’emigrazione del XIX secolo, la presa di posizione durante la Grande Guerra così come durante la Resistenza, di seguito alla scelta di lottare per la libertà: quella di tutti.
Ho potuto vivere un’esperienza nuova e arricchente anche grazie alla profondità interpretativa degli attori, dei canti e delle musiche cadenzate in un crescendo di pathos, dei brani recitati per conoscere empaticamente un popolo-chiesa, un popolo che si è fatto chiesa. Al termine, particolarmente bello e personalmente condivisibile, si è rivelato il desiderio del popolo valdese di cercare di vivere la propria vita come impegno responsabile a servizio del prossimo: ritengo sia un orizzonte comune da non perdere mai di vista.
È stato per me importante cercare di assistere allo spettacolo con una duplice attenzione: con gli occhi di una minoranza, quale la comunità valdese è stata considerata sin dalle origini della sua storia e con le difficoltà che questo ha comportato, ma anche con lo sguardo dell’incontro – obiettivo con cui era stata pensata la serata. Incontrare la storia, la cultura, la lingua di un popolo, vuol dire, infatti, riuscire ad incontrarsi, cercare di capirsi, vedere le differenze, «contrattare» come convivere e come poter parlare per riuscire a comunicare non sono in ambito relazionale, ma in questo caso anche come esperienza di fede, la fede cristiana, portata avanti con sfaccettature diverse.
Lara Iannascoli