Marzo 2020: prima ed ultima passeggiata primaverile. Il grande prato verde attraversato da stradine di ghiaia pullulava di allegri bimbetti che sgambettavano felici. Avevo scelto di staccare dallo studio e di respirare un po’; passi veloci mi avevano condotta lì senza che avessi scelto prima la destinazione… Alberi gemmati, sole tiepido, qualche canto leggero di merli e pettirossi… Tornata a casa mi aspettavano mia madre e mio fratello – mio padre sarebbe rientrato tardi dall’ufficio – e con loro… due mesi di tempo per riscoprirsi famiglia. Una sfida.
Giorni trascorsi rigorosamente in casa, lontani da università, scuola superiore, posti di lavoro; giorni sospesi, come l’animo di ciascuno di fronte alla paura di contrarre la malattia, e contagiarsi a vicenda, guardare la morte negli occhi; giorni da reinventare nel loro scorrere incessante. Giorni, ore, minuti, secondi. Attimi. Abbiamo cercato di raccoglierla, quella sfida, in ogni suo momento, in ogni sua sfumatura: mia madre, insegnante, praticando il più possibile una “didattica-di-vicinanza” con i suoi studenti, invece che una “a distanza”; io, restando connessa col mondo nell’aprire una finestra virtuale nell’intimità della mia camera; mio fratello, dandosi appuntamento con compagni ed amici per studiare e per giocare alla PlayStation; mio padre, alle prese con il fantomatico “smart-working” che purtroppo è sempre molto sbilanciato sul working (e molto poco smart).
In tutto questo tempo ci siamo accorti che dopo 30 anni di vita condivisa, la casa è abitata da una famiglia e ce ne siamo resi conto sbattendo violentemente contro una realtà che certamente ci apparteneva anche prima, ma che la frenesia del quotidiano aveva minato. La vita scandita dal tempo lavorativo, dallo studio, dagli spostamenti comuni o in solitaria, era diventata un’abitudine sulla quale vivere adagiati la propria esistenza. Il ritiro forzato da ogni attività, la convivenza da accettare come prerogativa fondamentale per custodire la salute, bene di cui tanti (ma non tutti, purtroppo) godono, le uscite ridotte al minimo indispensabile – l’essenziale, verrebbe da dire… Tutto è concorso ad un bene più grande: farci riscoprire capaci di relazioni autentiche, anche e soprattutto fra le mura domestiche: preparare i pasti, svolgere le faccende domestiche, ritrovarsi assieme per la preghiera, non sono stati momenti straordinariamente entusiasmanti (non sempre almeno), ma sono stati sicuramente straordinari nell’ordinarietà di ciascuno. Ho trovato molto difficile dedicare più tempo ai miei familiari, non è stato facile scegliere di distrarmi meno con la mia vita per guardare anche a loro con quello sguardo di figlia che da tempo non avevo più. Tutti abbiamo accolto con fatica i silenzi degli altri, la consapevolezza che anche nel vuoto ci può essere pienezza, che anche nel silenzio c’è vastità. Ora però, mentre si aprono scenari inediti, tutti desideriamo che la relazione riscoperta ci accompagni, presenza viva in gesti concreti.
Lara (Vicenza)