Prima di Pasqua abbiamo riaffrontato volentieri i termini quaresima/quarantena, ed era significativo tentare di leggere quel presente alla luce di un tempo liturgico specifico. Anch’io guardavo la situazione tentando di darle il significato adeguato, così da far sì che davvero liturgia e vita camminassero insieme (fonte e culmine), come dovrebbe essere… anche senza coronavirus! Senonché all’improvviso si sono ribaltati i parametri di analisi nel momento in cui si è verificata la situazione di un familiare malato di covid 19. La speranza che quella febbre non fosse il terribile virus, il ricovero, il passaggio nei reparti da infettivi a pneumologia fino alla terapia intensiva… Caspita, come continuare a leggere “liturgicamente” un dramma che coinvolgeva così da vicino? La settimana santa corrispondeva perfettamente allo stato d’animo che da giorni mi accompagnava insieme ai famigliari: il silenzio di non poter vedere, sapere, toccare… Tutti aggrappati a quell’unica telefonata giornaliera che dalla terapia intensiva faceva fare a tutti un sospiro di sollievo perché “rispondeva alle cure”, oppure gettava tutti nello sconforto perché “c’era stata un’altra crisi respiratoria” e non si sapeva quali evoluzioni poteva avere nelle 24 ore successive, nell’attesa di un’altra telefonata che nel frattempo ti faceva supporre ogni cosa. La passione di una sofferenza che potevamo solo immaginare per il nostro caro e quella dei familiari assillati dai dubbi più grandi. Quanto ha “parlato” il Crocefisso in quei giorni mostrando i segni della passione nel dono di sè all’umanità, vera scuola di incarnazione dentro situazioni impreviste e travolgenti. La parola di Dio era scritta per me, per noi. Era scritta per questo OGGI.
Quando la domenica di Pasqua non è arrivata alcuna telefonata, forse per scarsità di personale o forse per altre priorità, è stato difficile pensare al Risorto che ha vinto la morte e alla risurrezione come passaggio alla vita: prevaleva fortemente il timore del contrario. Eppure il richiamo alla fiducia, alla speranza, alle possibilità di ripresa e di vita abitavano tutti i giorni, era come se un po’ di Pasqua fosse disseminata al di là della ricorrenza liturgica.
Ed è iniziata la fase della ripresa: a metà della settimana dell’ottava di Pasqua, con spiragli piccoli ma continui, piano piano si sono rischiarate le ombre del tunnel e si è visto un orizzonte di luce, lontano ma… vero! La luce della Pasqua si è svelata, si sta svelando, giorno dopo giorno, in tutto il suo fulgore. Forse per dirci ancora una volta che Pasqua non è una volta all’anno, ma lo è ogni volta che la vita vince la morte! E non solo nella malattia.
Abbiamo appena festeggiato la Pentecoste: che cosa chiedere allo Spirito se non il dono della sapienza, per leggere dentro a questo tempo e soprattutto a certe esperienze un significato che va oltre l’immediato, ma si svela nella pazienza di abitarlo anche quando è l’ora della croce. All’orizzonte c’è sempre una luce!
M. Luisa