Credere anche attraverso il rito e la pratica
Con il confinamento sono spariti i corpi. E con loro il senso della comunità che di luoghi fisici, pratiche sociali condivise si nutre. Chiusi i luoghi di ritrovo, chiuse le chiese, chiusi i musei, chiuse le biblioteche, chiusi il parlamento e i consigli comunali. Sospese le elezioni. Impedite le assemblee in cui confrontarsi, sostenersi, individuare soluzioni comuni. Al posto della collegialità il parlare di uno, il rischio della deriva autoritaria come in Ungheria, ad esempio. Nel silenzio solo una voce si sente e può parlare, la comunicazione si fa unidirezionale. Impedite le manifestazioni per esprimere la volontà comune di fronte a scelte a volte inaccettabili (penso a Hongkong, o al razzismo della morte di George Floyd). Aperte le tabaccherie ma chiusi i tribunali: mi sono interrogata su che cosa è importante.
Poi il rientro nei luoghi condivisi come rischio. Medicalizzato ogni contatto e vicinanza: barriere in plexiglass, igienizzante, percorsi obbligati, che ci tengono lontani e ci proteggono; mascherine che nascondono le espressioni e rendono difficile sentire le parole degli altri; guanti che ci tolgono il tatto come modalità di con-prensione, ap-prendimento della realtà. Se si sfoglia un libro questo deve essere decontaminato, lasciato in quarantena, oggetto rischioso perché condiviso. Cultura fisica condivisa come rischio. Solo parole virtuali, incontri virtuali, video, libri immateriali. Mai mi sono resa conto come ora della nostra fisicità e del bisogno di fisicità nel con-tatto con il mondo.
Con il confinamento è sparito il corpo.
Penso in questo caso al corpo di Cristo nell’eucarestia e al senso dell’incarnazione in questo momento in cui il corpo è il luogo del contagio, del rischio, del pericolo. È diverso condividere nella presenza la celebrazione di ciò che crediamo. È diverso celebrare da soli, davanti a una televisione che mostra una chiesa vuota, con un celebrante che non ha davanti un’assemblea, per una fede comunitaria quale è quella cattolica. “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Le uniche messe che ho sentito valide sono state quelle domenicali con mia madre, che sono andata a seguire a casa sua davanti alla televisione, condividendo almeno con lei l’appartenenza a una comunità.
È ancora purtroppo diverso doverci accostare al corpo di Cristo, che ha preso corpo nella storia per condividerla, che ha toccato i malati per guarirli, con la sua saliva impastata di terra, e si è lasciato toccare dall’emorroissa e dalla donna in casa di Simone, utilizzando guanti e mascherina che alterano profondamente il senso dei gesti di cui la liturgia si nutre.
È un corpo pericoloso che rende la distanza necessaria. Il buon samaritano stava andando sicuro per la sua strada. Si è fermato, si è chinato, ha raccolto, toccato, fasciato. Ora la carità sta nel distanziamento per proteggere le persone anziane, le persone fisicamente fragili. Passando vicini si abbassa la testa o la si gira di lato perché il nostro respiro non sia causa di morte per qualcuno. Girarsi dall’altra parte come segno di carità? Sono ricomparsi con la fine del confinamento i mendicanti, ma quasi nessuno si ferma per porgere una moneta. Dove sono stati quelli che non avevano una casa dove confinarsi? Davanti a qualche chiesa o davanti a qualche negozio, dei cesti dove qualcuno portava e qualcuno poteva prendere, in solitudine la solidarietà.
Sono entrata in una chiesa un giorno tornando dal lavoro, di passaggio. Stranamente aperta.
Cordelle bianco rosse da cantiere edile a limitare la possibilità di contaminare i banchi. Igienizzante e guanti sull’altare vicino a candele accese, fiori, un calice.
La liturgia, il rito, sono una pratica che come tale dà alla disposizione dei corpi, ai dettagli, alle piccole cose un valore parlante. Il modo in cui si compiono i gesti insieme alle parole, gli oggetti che vengono utilizzati, i colori, come rimando a qualcosa d’altro, non sono indifferenti. Il sacramento è tutt’uno: gesto e significato, corpo fisico e senso.
Sono spariti i corpi e ora mi chiedo come fare senza di essi se non pazientare.
Chiara Peruffo