L’intervento dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne
capitana della nave Sea Watch Carola Rackete e alle persone sbarcate la
notte del 29 giugno a Lampedusa, l’Osservatorio interreligioso sulle
violenze contro le donne interviene con il seguente comunicato.
violenze contro le donne non possiamo tacere sui fatti avvenuti
all’arrivo della nave Sea Watch a Lampedusa la notte del 29 giugno. Ci
riferiamo ai discorsi d’odio che dal molo hanno accompagnato la discesa
dalla nave della comandante, Carola Rackete, trentunenne tedesca con una
grande esperienza in campo scientifico e umanitario. Per aver forzato il blocco imposto dal governo italiano, l’arresto
con l’accusa di “violenza contro nave da guerra” non è bastato. Al
porto, oltre alla Guardia di Finanza, si è radunata una folla che ha
rivolto alla comandante della nave frasi di chiara matrice sessista,
postate su Facebook dalla Lega di Lampedusa.
profetismo cristiano – ha stigmatizzato il fatto come razzista. È strano
come non si veda che gli insulti alla capitana erano prima di tutto violenti attacchi sessisti. Certamente il becero e brutale linguaggio impiegato è sintomo anche di
un razzismo che rende l’etnia africana oggetto di disprezzo e ne fa il
simbolo di ogni negatività. Ma qui, ciò che si impone è una forsennata
violenza misogina. Sul molo di Lampedusa è stato utilizzato
pornograficamente il campo semantico della sessualità per colpire una
donna; una giovane che incarna il rifiuto per un ordine politico e
simbolico indifferente alla vita, che unisce l’ideale della solidarietà e
il pragmatismo dell’agire, che conosceva i rischi del proprio
coraggioso gesto ma non vi si è sottratta per amore degli altri.
Di più. Su Carola Rackete e sulle mogli dei deputati Pd saliti sulla nave è stato invocato lo stupro. Il coro di voci del video che gira su internet mostra una efferatezza
disumana. Si tratta di una chiara istigazione alla violenza. Ancora una
volta lo stupro è pensato come arma di guerra contro il corpo delle
donne. Una guerra che oggi è quella contro chi fugge dalla guerra,
intrecciata a una guerra contro le donne, perché è nella relazione tra
uomo e donna che si radica l’intolleranza prima verso l’altro.
Fino a quando una donna sarà insultata e offesa barbaramente nella
sfera della sessualità e fino a quando gli uomini non prenderanno
coscienza che gli stupri e i femminicidi si alimentano di questi gesti,
non potremo avere una società giusta, inclusiva, amante della vita.
Un immenso grazie a Carola Rackete per il grande gesto di amore che
ha compiuto e per aver mostrato ai giovani e alle giovani quanto una
donna può incarnare l’ essere responsabili verso l’altro/a».
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L’appello di teologhe e teologi della Facoltà dell’Italia meridionale (fonte: Adista)
“SIGNOR PRESIDENTE, SIAMO COLPEVOLI ANCHE NOI!”
«Signor Presidente, se la solidarietà sta divenendo in Italia un
reato allora noi le comunichiamo che vogliamo compiere ogni reato di
umana solidarietà e che ci associamo a quanto ha fatto la comandante
Rackete e desideriamo essere indagati e processati anche noi per
apologia di reato e ci offriamo di ricevere la pena prevista per questo
reato». Lo scrivono oltre 30 tra teologi, canonisti, storici della
Chiesa in una lettera di auto denuncia inviata al presidente della
Repubblica Sergio Mattarella. Il mondo cattolico, anche nei suoi livelli
accademici, continua a mobilitarsi a sostegno della solidarietà nei
confronti dei migranti ed a difesa di chi, come Carola Rackete, ha
scelto di rischiare in prima persona per salvare vite umane.
Inoltre, l’accusa alla capitana Carola, sostiene la
lettera, è ridicola ed inaccettabile: come si fa infatti a dire «che una
minuscola unità navale, totalmente disarmata e con a bordo dei poveri
naufraghi voglia e possa far guerra all’Italia»? La verità è che «non vi
è nessuna minaccia e nessuna guerra in atto, se non quella scatenata da
mesi nei confronti di esseri umani bisognosi di soccorso e desiderosi
di vivere. Non si fa guerra ai poveri e il nostro posto di insegnanti di
una Facoltà Teologica è lì dove la vita viene offesa e negata.
I docenti firmatari avvertono i fatti della Sea Watch come
direttamente collegati al ruolo di formatori che svolgono: «Come
insegnanti, signor Presidente, siamo molto allarmati da questo crescente
clima di odio e di aggressione continua soprattutto nei confronti di
impoveriti, indeboliti e sfruttati. Questo clima non potrà non avere
conseguenze gravissime nella formazione di un comune sentire degli
italiani, soprattutto dei più giovani nei cui confronti abbiamo il
dovere di dire la verità, di promuovere il dialogo e l’accoglienza, di
mostrare il bene della nonviolenza e non favorire e sostenere la
mistificazione e l’intolleranza che sfociano inevitabilmente nell’odio».
Per questi motivi, conclude la missiva, «non lasceremo
sola la comandante Rackete che con la sua disobbedienza civile ha
dimostrato una passione per l’umanità esemplare e associandoci alla
comandante attendiamo di essere anche noi processati».
Il gesto ricorda altre celebri iniziative avvenuto in
passato in ambito cattolico. Nel 1965, don Milani fu messo sotto
processo per apologia di reato, per aver difeso gli obiettori di
coscienza (allora una legge che garantisse il diritto all’obiezione di
coscienza non esisteva e chi rifiutava di indossare la divisa finiva in
carcere per renitenza alla leva) contro i cappellani militari in congedo
della Toscana che su un giornale avevano definititi “vili” gli
obiettori. «Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono
queste divisioni. Se voi però avete diritto di dividere il mondo in
italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho
Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e
oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro», scriveva tra
le atre cose don Milani ai cappellani. Parole che ricordano da vicino
quelle della lettera pubblicata in esclusiva da Adista: «Non si fa
guerra ai poveri e il nostro posto di insegnanti di una Facoltà
Teologica è lì dove la vita viene offesa e negata».
Qualche anno dopo la vicenda di don Milani, un altro
celebre episodio scosse il mondo cattolico. Nel 1969 un migliaio di
parrocchiani dell’Isolotto, a Firenze, si auto denunciarono in
solidarietà al loro parroco, don Enzo Mazzi, e di altri 4 preti e 3
laici indagati per istigazione a delinquere e turbamento di funzioni
religiose, durante i celebri fatti che portarono alla rimozione di don
Mazzi da parroco. Nel 1971 furono tutti assolti.
Di seguito, il testo della lettera al presidente della Repubblica.
Al presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella
Signor Presidente,
le scriviamo per
manifestarle la nostra totale condivisione con le scelte compiute da
Carola Rackete – comandante della piccola nave Sea Watch – sia per aver
salvato la vita a dei naufraghi nel Mediterraneo sia per aver deciso,
dopo 17 giorni di vana attesa, di farli sbarcare in Italia dopo le
lunghissime sofferenze patite nei loro viaggi precedenti e in una
nazione in guerra come la Libia.
Signor Presidente, se la solidarietà sta divenendo in
Italia un reato allora noi le comunichiamo che vogliamo compiere ogni
reato di umana solidarietà e che ci associamo a quanto ha fatto la
comandante Rackete e desideriamo essere indagati e processati anche noi
per apologia di reato e ci offriamo di ricevere la pena prevista per
questo reato. Troviamo inaccettabili le parole dell’attuale ministro
dell’Interno il quale, mentre agita a scopo elettorale il Vangelo e il
Rosario, parla di atto di guerra compiuto dalla comandante Rackete. È
inverosimile e anche ridicolo, infatti, sostenere che una minuscola
unità navale, totalmente disarmata e con a bordo dei poveri naufraghi
voglia e possa far guerra all’Italia. Non vi è nessuna minaccia e
nessuna guerra in atto se non quella scatenata da mesi nei confronti di
esseri umani bisognosi di soccorso e desiderosi di vivere. Non si fa
guerra ai poveri e il nostro posto di insegnanti di una Facoltà
Teologica è lì dove la vita viene offesa e negata.
Appena il 21 giugno papa Francesco ha partecipato ad un
convegno nella Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale nella quale
lavoriamo e ci ha incoraggiato dicendoci:
«La teologia – tenendo la mente e il cuore fissi sul “Dio
misericordioso e pietoso” (cfr Gn 4,2) – può aiutare la Chiesa e la
società civile a riprendere la strada in compagnia di tanti naufraghi,
incoraggiando le popolazioni del Mediterraneo a rifiutare ogni
tentazione di riconquista e di chiusura identitaria. Ambedue nascono, si
alimentano e crescono dalla paura. La teologia non si può fare in un
ambiente di paura».
Per questo motivo noi non possiamo insegnare teologia
rimanendo indifferenti alla progressiva crescita di paura, di terrore,
di sospetti, di accuse, di minacce, di incitamento alla violenza e
all’odio. E proprio perché rifiutiamo la paura vogliamo fino in fondo
svolgere il nostro ruolo di insegnanti e ci associamo a quanto ha scelto
di fare la comandante Rackete, perché il primato della coscienza e
dell’umanità resterà sempre superiore a tutte le leggi umane,
soprattutto quelle leggi che fomentano paure e aprono la strada alle
persecuzioni. Facciamo questo proprio ispirandoci a quanto ancora ci ha
detto papa Francesco il 21 giugno:
«è importante che i teologi siano uomini e donne di
compassione – sottolineo questo: che siano uomini e donne di compassione
–, toccati dalla vita oppressa di molti, dalle schiavitù di oggi, dalle
piaghe sociali, dalle violenze, dalle guerre e dalle enormi ingiustizie
subite da tanti poveri che vivono sulle sponde di questo “mare
comune”».
Le scriviamo motivati anche da quell’imperativo morale che
ci richiama il Concilio Vaticano II nella Costituzione Pastorale
Gaudium et spes:
«I capi di Stato, infatti, i quali sono mallevadori del
bene comune delle proprie nazioni e fautori insieme del bene della
umanità intera, dipendono in massima parte dalle opinioni e dai
sentimenti delle moltitudini. È inutile infatti che essi si adoperino
con tenacia a costruire la pace, finché sentimenti di ostilità, di
disprezzo e di diffidenza, odi razziali e ostinate ideologie dividono
gli uomini, ponendoli gli uni contro gli altri. Di qui la estrema,
urgente necessità di una rinnovata educazione degli animi e di un nuovo
orientamento nell’opinione pubblica. Coloro che si dedicano a un’opera
di educazione, specie della gioventù, e coloro che contribuiscono alla
formazione della pubblica opinione, considerino loro dovere gravissimo
inculcare negli animi di tutti sentimenti nuovi, ispiratori di pace. E
ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, aprendo gli
occhi sul mondo intero e su tutte quelle cose che gli uomini possono
compiere insieme per condurre l’umanità verso un migliore destino» (n.
82).
E noi sollecitati da queste istanze conciliari, prendiamo
posizione chiara in spirito di collaborazione al Suo servizio di Capo di
Stato poiché come insegnanti della Pontificia Facoltà Teologica
dell’Italia Meridionale inseriti nei corsi formativi della Sezione San
Luigi, retta dai padri Gesuiti, ormai da anni abbiamo promosso un
percorso di approfondimento epistemologico e di revisione dei corsi
accademici, teso a contestualizzare l’insegnamento teologico nel solco
della Tradizione di fede e all’interno delle coordinate socio
territoriali del Meridione d’Italia nel quale viviamo e per il quale
formiamo i nostri studenti. In tempi recenti il raggio d’interesse e di
approfondimento si è esteso all’orizzonte del Mediterraneo, quale bacino
culturale che raccoglie le sfide di civiltà e d’integrazione
storicamente raggiunte come traguardi di vera umanità e oggi, purtroppo,
compromesse da preoccupanti tentativi di chiusure e irrigidimenti
sistemici verso le altre civiltà che si affacciano sullo stesso mare.
Come insegnanti, signor Presidente, siamo molto allarmati
da questo crescente clima di odio e di aggressione continua soprattutto
nei confronti di impoveriti, indeboliti e sfruttati. Questo clima non
potrà non avere conseguenze gravissime nella formazione di un comune
sentire degli italiani, soprattutto dei più giovani nei cui confronti
abbiamo il dovere di dire la verità, di promuovere il dialogo e
l’accoglienza, di mostrare il bene della nonviolenza e non favorire e
sostenere la mistificazione e l’intolleranza che sfociano
inevitabilmente nell’odio.
Per questi motivi, signor Presidente, non lasceremo sola
la comandante Rackete che con la sua disobbedienza civile ha dimostrato
una passione per l’umanità esemplare e associandoci alla comandante
attendiamo di essere anche noi processati.
Voglia accogliere, signor Presidente, la nostra più viva
partecipazione all’impegnativo compito che Lei assolve a servizio
dell’Italia anche in questi mesi sempre più difficili per coloro che
hanno come faro la nostra Costituzione e la Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo sempre più spesso calpestate dalle esigenze della
propaganda e del consenso elettorale.
Tutti i firmatari sono insegnanti della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (sezione san Luigi)
Giorgio Agnisola, storico dell’arte cristiana
Giuliana Albano, storica dell’arte cristiana
Enzo Appella, biblista
Azzariti-Fumaroli Luigi, storico della filosofia
Luigi Borriello, teologo della spiritualità
Anna Carfora, storica della Chiesa
Umberto Rosario Del Giudice, teologo canonista
Giuseppina De Simone, teologa fondamentale
Giovanni Di Napoli, teologo dogmatico
Ettore Franco, biblista
Dario Garribba, storico della Chiesa
Lorenzo Gasparro, biblista
Annalisa Guida, biblista
Antonio Ianniello, storico della Chiesa
Giorgio Jossa, storico della Chiesa
Nicola Lanza, filosofia della natura
Sabatino Majorano, teologo della morale
Giorgio Marcello, sociologo
Jluis Narvaja, teologo patristico
Armando Nugnes, teologo dogmatico
Cosimo Pagliara, biblista
Andrea Patauner, lingua tedesca
Valerio Petrarca, antropologo
Agostino Porreca, teologo dogmatico
Matteo Prodi, teologo della morale
Salvatore Purcaro, teologo della morale
Nicola Salato, teologo dogmatico
Emilio Salvatore, biblista
Lucio Sembrano, biblista
Sergio Tanzarella, storico della Chiesa
Gianfranco Terziani, biblista
Bartolomeo Puca, biblista