Dalla cronaca domande drammatiche ed ineludibili
Nei primi due mesi di servizio come volontaria, sono stata coinvolta in un’interessante attività di catalogazione relativa ai quotidiani e alle riviste cui il centro stesso è abbonato: giornali quali Osservatore Romano e Avvenire, di ispirazione cattolica a diffusione nazionale; la Voce dei Berici e Il Giornale di Vicenza, editi a livello locale; varie riviste dai tagli più diversi (come, ad esempio, Adista, Madre, Luoghi dell’Infinito, Testimoni e Vita Nuova (trimestrale della congregazione di Suore Orsoline del Sacro Cuore di Maria), capaci di leggere l’attualità in modo trasversale e puntuale.
Sfogliando i quotidiani dell’ultimo semestre dello scorso anno, ho notato come il tema della violenza sulle donne rientrasse sempre prepotentemente nella cronaca e nella maggior parte dei casi, purtroppo, si trattava di cronaca nera. Nel ripercorrere i testi, dove i giornalisti riportavano con una cura quasi maniacale ogni dettaglio degli attacchi più efferati, mi sono interrogata: si può distruggere con l’acido la vita di una donna (emblematico il caso di Lucia Annibali) perché gelosi della sua bellezza? Si può annientare la dignità di una madre che, nonostante le difficoltà, lotta per tenere unita una famiglia? Si può uccidere una donna per amore? No. “Non si uccide per gelosia, per passione, tantomeno per amore; si uccide perché ci si sente in diritto di dominare la vita di un’altra persona” (Cristiana Bedei). Infatti “se l’amore è possesso, è già offesa e violenza. Amare è dare, non prendere. È reciprocità, non disparità” (Enrico Peyretti).
Una conseguenza comune alle storie di tante donne – fidanzate, mogli, madri, anziane – abusate nei modi più diversi (sia psicologicamente che fisicamente) è il silenzio. Perché si subisce una violenza inaudita senza denunciarla? Non credo si tratti di mancanza di coraggio, ma di motivazioni singolari, diverse per ogni caso, sulle quali è sempre sbagliato generalizzare: nella Bibbia, ad esempio, a Tamar (Gen 38,6-30) sorella di Assalonne, stuprata nella camera da letto da Amnon (fratellastro), viene imposto il silenzio per non dare scandalo, per non rovinare il buon nome della famiglia; alla diciottenne madrilena vittima di uno stupro di gruppo a Pamplona nel luglio 2016 non hanno lasciato nemmeno la forza di urlare mentre in cinque abusavano di lei; per Pamela Mastropietro il silenzio è stato l’epilogo di un’esistenza abbandonata, distrutta, fatta a pezzi, come accadde a Kadjia Bencheikh, Mirela Balan e Adele Mazza – per citarne solo alcune.
“Non c’è amore dove il silenzio nasconde la violenza” scrive Antonella Anghinoni. L’impegno di ciascuno, allora, diventa quello di promuovere una cultura di rispetto, giustizia e speranza nei confronti delle donne, che indifferentemente dall’etnia e dall’età vanno amate per quello che sono; lasciate libere di amare nella misura in cui possono farlo; rese protagoniste della propria esistenza senza essere possedute, per abitare una storia d’amore autentica.
Lara Iannascoli