Alla luce della considerazione sulla struttura simbolica della Madre nella prospettiva storica diacronica, desidero soffermarmi […] sull’antinomia di soggetto/oggetto, verificatasi all’inizio della rivoluzione agricola e poi consolidatasi nei modelli culturali delle società patriarcali che si sono succedute. Su questo contrasto può far luce la forza archetipica, elementare dell’esperienza originale della Grande Madre tanto irrazionale quanto oggi necessaria, perché la ragione impone di dare un senso a ciò che stiamo vivendo. […]
La filosofia del linguaggio conferma la correlazione tra patriarcato e sviluppo della filosofia ed ora, nel tempo dell’emergenza planetaria, si tratta di trovare un nuovo ordine simbolico che non spogli la madre delle sue qualità, che non rovesci l’ordine logico e sociale, ma sia capace di armonizzarlo in virtù del principio della libertà che lo regola. Il lavoro di critica al secolare dominio maschile a nulla serve se non è affermato il valore simbolico della relazione del femminile che è in tutta la specie umana, con la Madre Terra.
Il sapere amare è diverso dal desiderio di sapere, perché questo indirizza le «forze passionali verso l’obiettivo della conoscenza, dichiarato per altro inattingibile, mentre il saper amare è la messa in circolo delle forze passionali con l’attività della mente». Il grande filosofo è colui e colei che sa ascoltare la positività originaria dell’essere, la capacità propria della potenza materna, che, secondo Luisa Muraro, il filosofo apprende al limite del suo lavoro intellettuale.
Simbolicamente il passaggio evolutivo dall’odio e dalla critica all’essere avviene nell’esperienza della relazione con la madre, imprinting per le esperienze future che dà senso all’esistenza unica ed irripetibile di ciascun individuo della nostra specie.
La ricerca della Grande Madre è dunque un percorso di crescita personale, combatte il relativismo e il nichilismo tipici della cultura post-moderna, non è solo un mito delle origini perché si basa sull’esperienza autentica e non vuota del sapere nominale e permette di non raddoppiare il mondo dell’esperienza reale in un mondo ideale.
Come ogni trauma, la pandemia generata dal Covid-19 avvia un processo di trasformazione storica epocale, di cui tutti noi saremo protagonisti se consapevoli del processo evolutivo in atto. L’approdo alla pura presenza dell’essere è lo stesso della tradizione mistica, che inizia con dire la verità a sé stessi; in Clarice Lispector corrisponde alla perdita della terza gamba, ossia ad una parte esterna all’essere, che deve essere cercata, la cui assenza spaventa, eppure risulta del tutto inutile; infatti, stare su due gambe è naturale per l’essere. «Perché, come potrei parlare senza che la parola menta per me? Come potrò dire se non timidamente; la vita mi è. La vita mi è, e non capisco ciò che dico. E allora adoro».
Questo processo di identificazione con l’essere inizia quando uno o una decide d’incominciare a dire la verità, consapevole del rischio del nominalismo per l’autrice, come per il lettore o per la lettrice del presente testo, quando l’archetipo femminino, l’idea della Grande Madre può essere solo pensata e non è conosciuta dall’intelletto.
La parola, il saper parlare è, quindi, il prodotto sociale frutto di uno scambio, modellato su quello originario con la madre, senza il quale la nostra facoltà performativa del linguaggio sarebbe vuota ed è con questa consapevolezza che useremo la lingua come medium per determinare i sistemi sociali della nuova filosofia emergente.
E’ arduo cambiare l’ordine simbolico della madre, le « istanze mediatrici»che permettono non solo di pensare il reale ma anche di trasformare la condizione sociale e umana, insieme all’altro ordine, quello temporale della storia. Essa muta solo a seguito di brusche interruzioni, o di traumi come quello di questa emergenza planetaria, che obbliga ciascuno di noi a nuovi adattamenti fisiologici, sociali e culturali.
Adesso, per necessità, cambia la mentalità predatoria dell’homo economicus, da individuo isolato che analizza, separa e usa le risorse naturali, a soggetto integrato con chi lo ha generato, per diventare grato della sua stessa origine, della sua Terra ammalata.
Anna Maria Ronchin