Tra storia, arte e fede: sulle orme di Etty Hillesum, Edith Stein e Anna Frank
Un paesaggio verdeggiante, abitato con cura, solcato da canali
navigabili e da tanti animali al pascolo, liberi:
un paesaggio caldo, accogliente, pur essendo verso il nord Europa.
Belgio e Olanda ci hanno affascinato con il loro ordine di
vita e con la loro natura intensa, abitata certamente dall’opera umana che è
riuscita a creare terre dove prima non c’erano, ma senza togliere all’ambiente
la sua naturale bellezza e possibilità di dare nutrimento alla popolazione.
La scoperta di un paesaggio molto bello, rigoglioso, l’ammirazione
di bellissime città, piazze, palazzi, chiese, che nella magnificenza del gotico
civile e religioso colpiscono per la loro maestosità e leggerezza, non ha
disturbato ma ha invece aiutato a scoprire la profondità di un pellegrinaggio
molto particolare, accompagnato da arte, storia, fede, dalle Scritture e dalle
parole di tre donne: Etty Hillesum, Anna Frank Edith Stein.
Prima di partire qualcuno esprimeva dei dubbi sul fatto che
il ‘viaggio’ fosse un ‘pellegrinaggio’, con le caratteristiche del pellegrinare
che sono il mettersi per via in compagnia del Signore, assaporando sempre più
la sua vicinanza e scoprendo, man mano
che si apre la via, qualcosa di più di noi stessi e di Dio: un cammino
infinito!
E’ stato un vero pellegrinaggio, fuori dalle vie consuete
dei grandi pellegrinaggi: che ci ha portati vicini a Dio attraverso le
Scritture e attraverso queste tre grandi donne che hanno vissuto ciascuna in
modo diverso, con età diverse e vicende diverse, la loro fede in Dio e nella
bontà del genere umano, in quel novecento definito da molti scrittori ‘il
secolo della morte’.
Scoprire due Paesi ricchi di storia e tracce di fede,
attraversati per molti anni dal contrasto tra cattolici e riformati, vederli ora abitati da tante e
diverse etnie che esprimono anche in modi diversi la fede, ci ha permesso di
incontrare in modo particolare una parte della nostra storia che è così vicina
ma anche così lontana, che spesso ci sembra il regno dell’assurdità per la
crudeltà e la volontà di potere che ha scatenato nel mondo, ma che è parte del
vivere umano da tanto tempo, come suggerisce la lettura del Libro delle Lamentazioni: una volontà di potere, di prevaricazione sull’altro
che ha generato e genera sofferenza, morte, distruzione.
Siamo stati in Olanda nei giorni del lutto nazionale per la
morte dei 173 olandesi che viaggiavano sull’aereo malese abbattuto in Ucraina,
e ad ogni giorno del nostro pellegrinaggio crescevano le vittime dello scontro
nella striscia di Gaza: ancora stragi, ancora guerre, ancora dolore e
sofferenza, ancora grida che si rivolgono a Dio. Domande sul senso di tutto
questo dolore causato dall’umanità: domande che ci hanno accompagnato e ci
accompagnano, alle quali non riusciamo a trovare risposte razionali, ma che
hanno trovato testimonianze di vita di
chi è passato nel dolore, di chi è stato attraversato da esso, ma non si è
lasciato depredare dalla situazione di abbruttimento e di disperazione la
fiducia in Dio e nel genere umano.
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Edith Stein è sicuramente passata per il campo di transito di Westerbork, nell’Olanda del nord. Così Del resto |
Etty Hillesum ci ha accompagnato, a 100
anni dalla sua nascita e a 70 anni dalla sua morte, in tutto il pellegrinaggio,
con le letture dal suo Diario, tratte
dal breviario dagli scritti curato da Lorenzo Gobbi, Il bene quotidiano. E in
questo brano tratto dalla lettera che abbiamo letto prima di arrivare a
Westerbork, la Lettera a due sorelle
dell’Aia, nel dicembre 1942 Etty descrive il campo dove volontariamente è
andata a lavorare, dove ha deciso in piena libertà di stare accanto a chi
soffriva: e tra quegli ebrei cattolici e tra quegli ebrei cattolici che in una parte
della lettera Etty descrive, molto probabilmente c’era anche Edith
Stein, deportata poi ad Auschwitz.
Etty Hillesum : Le parole di Etty Hillesum hanno accompagnato la nostra |
Entrare a Westerbork, camminare sul sentiero d’ingresso fino |
«La sofferenza umana che abbiamo avuto sotto gli occhi negli
ultimi sei mesi, e cui continuiamo ad assistere tutti i giorni, è più di quanta
un individuo possa digerire in un periodo simile. Non è un caso se si sente
dire quotidianamente, in tutti i toni: «Non vogliamo pensare, non vogliamo
provare nulla, vogliamo dimenticar al più presto», e a me pare molto
pericoloso.
È vero, accadono cose che un tempo la nostra ragione non
avrebbe creduto possibili, ma può darsi che in noi risiedano organi altri della
ragione, organi che un tempo ignoravamo e che forse hanno la capacità di
arginare quelle realtà sconcertanti. Io credo che per ogni accadimento l’uomo
possegga in sé un organo con cui elaborare quanto è successo. Se faremo ritorno dai campi di prigionia,
ovunque essi si trovino, traendo in salvo i nostri corpi e null’altro, sarà
troppo poco. Il punto non è, infatti, conservare la propria vita a tutti i
costi, ma come la si conserva. A volte penso che ogni nuova situazione, buona o
cattiva, possa arricchire l’uomo di una nuova consapevolezza. E se voltiamo le spalle alle dure realtà
che siamo irrevocabilmente costretti ad affrontare, se manchiamo di riservare
loro un posto nelle nostre teste e nei nostri cuori, così che abbiano modo di
decantare e mutare in dati di fatto, guardando ai quali possiamo crescere e
ricavare un significato, allora la nostra non sarà una generazione vitale.
Certo non è così semplice – men che mai, forse, per noi
ebrei – ma se a un mondo impoverito e
reduce da una guerra non avremo altro da offrire che i nostri corpi tratti in
salvo a ogni costo, e non un nuovo significato attinto dai pozzi più profondi
dei nostri affanni e della nostra disperazione, allora sarà troppo poco. A
partire dai campi stessi dovranno irraggiarsi nuovi pensieri; nuove
consapevolezze dovranno portare chiarezza oltre i nostri recinti di filo
spinato e ricongiungersi a quelle che chi è fuori è chiamato a conquistare con
altrettanta pena e in circostanze che poco a poco si fanno quasi altrettanto difficili.
Allora, su una base comune di ricerca genuina di risposte che facciano luce su
tutti questi eventi arcani, la vita sbandata potrà forse fare un cauto passo
avanti.
Ed ecco perché a me sembrava un grave pericolo sentir
ripetere ogni volta: «Non vogliamo pensare, non vogliamo provare nulla, la cosa
migliore di fronte a questa tragedia è l’indifferenza».
Come se il dolore – quale che sia la forma in cui ci si
presenta – non fosse anch’esso parte dell’esistenza umana. » (Lettera a due sorelle dell’Aia).
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Con il nostro pellegrinaggio, con il nostro impegno
responsabile per la pace e il rispetto dei diritti umani, cerchiamo di essere questo tempo in cui gli ideali di
Anna, di Etty, di Edith siano attuabili, nella dimensione della sequela e del servizio evangelico che l’Agnello
Mistico ha vissuto per noi, nel
quale ci incontreremo tutti.
sr Federica Cacciavillani