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PRESENTAZIONE DEL LIBRO «AVENDO QUALCOSA DA DIRE»

Mercoledì 9 aprile si è conclusa la rassegna 2014 di «In punta di penna» con la presentazione del libro scritto a più mani «Avendo qualcosa da dire». Il libro nasce dal desiderio di rilanciare temi e istanze del convegno internazionale Teologhe rileggono il Vaticano II, tenutosi a Roma dal 4 al 6 ottobre 2012. Ospite Lucia Vantini, filosofa e teologa che assieme a don Dario Vivian ha rievocato il Concilio Vaticano II. La presenza delle ventitré uditrici nell’aula conciliare è stata una svolta fondamentale – ha detto Vantini – e qualcuno l’ha definita una presenza simbolica. Negli stessi documenti si notano i segni della loro presenza. Con il Concilio si apre uno sguardo nuovo di Chiesa dove viene riconosciuta la ricchezza che le donne possono portare, non tanto in termini di contenuti ma come sguardo diverso. Si apre così la questione non sul tema «donne e Chiesa» ma sul «posto che occupano le donne nella Chiesa».


«C’è chi ha visto il Concilio Vaticano II come un evento che ha rotto con la tradizione e altri che l’hanno interpretato come una continuità della tradizione» ha ricordato Vivian. Alla domanda se lo sguardo di genere aiuta a superare il blocco delle ermeneutiche del Concilio, Lucia Vantini risponde che «è necessario rapportarsi a questa novità senza paura, il cambiamento è un cammino che serve a portare la verità alla sorgente, non a smentirla. È necessario aprire strade per cui i soggetti abbiano parola su questo non tanto per portare contenuti diversi, ma perché più cose si hanno da dire su questo e più si coglie la ricchezza. Purché ci si ascolti».
Di cambiamenti concreti ce ne sono stati ma spesso tra teoria e prassi è la riflessione teorica a rimanere indietro. «Siamo abituati a pensare che una teoria è vuota nel momento in cui non c’è un’esperienza concreta che possa confermarla. Non siamo però abituati a pensare il contrario, ovvero a trovare nella concretezza della vita dei significati che possano dare un senso alle esperienze. In questo modo è necessario trovare il modo di raccontare e confrontarsi con le varie prospettive. La narrazione è la via per uscire da quel senso di soffocamento; avere la consapevolezza delle proprie radici e non aver paura della storia che porta in sé l’imprevisto e la questione del futuro: questo è ciò che si deve trasmettere in particolare alle nuove generazioni».
Sul tema specifico dello sguardo di genere, Lucia Vantini argomenta che la parola genere è una parola che in questo momento è attaccata, e attorno ad essa sta ruotando il peggio. Entrare in un ottica di genere, intesa come costruzione culturale significa chiedersi che idea di uomo e donna c’è in un libro, in una prospettiva, in una cultura e se questa idea corrisponde alla dignità della persona. In questo senso anche la Chiesa dovrebbe interrogarsi dove sta il genere nel ruolo ecclesiale. Quanto conta il femminile e il maschile nel far trasparire Cristo? È una questione che riguarda tutti.