Il commento di Simona Segoloni Ruta
Tra gli altri commenti all’esortazione apostolica di papa Francesco “Querida Amazonia”, vi segnaliamo anche gli articoli:
– “Il Sinodo e la natura della dottrina” di Andrea Grillo (leggi qui)
– “Querida Amazonia e il sinodo. E se avessimo capito male?” di Riccardo Cristiano (leggi qui).
Simona Segoloni Ruta
Il fatto che questo riconoscimento possa sembrarmi un passo avanti la dice lunga su quale sia la nostra situazione ecclesiale, ma questa è la realtà. E il papa ha cercato di dire quello che poteva essere realisticamente fatto, finendo per dare indicazioni concrete su incarichi ufficiali per le donne, perché possano incidere sulla Chiesa, e sul loro coinvolgimento nel discernimento e nelle decisioni di una chiesa sinodale. In questo tentativo di valorizzazione, c’è, però, un passaggio che resta ostico e che rischia di essere controproducente: «Il Signore ha voluto manifestare il suo potere e il suo amore attraverso due volti umani: quello del suo Figlio divino fatto uomo e quello di una creatura che è donna, Maria. Le donne danno il loro contributo alla Chiesa secondo il modo loro proprio e prolungando la forza e la tenerezza di Maria, la Madre» (QA, 101).
In questo passaggio il papa pone l’attenzione sul fatto che nella Chiesa non ci sono solo maschi e ad un tempo, come il Concilio insegna, ricolloca Maria in mezzo al popolo cristiano riconsegnandocela come compagna e non come l’irraggiungibile modello che umilia le donne. Inoltre ce la presenta come madre, forte e tenera allo stesso tempo, cercando di svincolarci da stereotipi sdolcinati e anche evitando l’insistenza sulla verginità, categoria sempre offensiva per le donne, perché ci costringe a riflettere sui loro organi genitali e sulla loro vita sessuale. I problemi però – nonostante queste luci – ci sono: anzitutto Gesù e Maria non sono sullo stesso piano, non ci mostrano cioè l’amore di Dio in modo paritetico. Per ciascuno e per ciascuna – Maria in testa – l’amore del Padre si mostra in Cristo, ma non certo perché maschio. La maschilità, come l’essere ebreo o cresciuto a Nazareth, sono state le concrete contingenze della sua umanità, che lui ha vissuto completamente rivolto al Padre e ai fratelli: della sua maschilità ci dovrebbe interessante eventualmente lo stile, come l’abbia liberata dal potere e dalla violenza e da ogni aspirazione di supremazia. Egli è, comunque, modello di ogni credente, colui che vive in ogni credente, maschio o femmina che sia (Maria compresa).
Se questo è vero le donne danno il proprio contributo non prolungando la forza e la tenerezza di Maria, ma la forza e la tenerezza di Cristo che anche Maria ha vissuto. Lo fanno in modo femminile, certo, cioè con quello che sono: colte o ignoranti, sane o malate, madri o no, innamorate o abbandonate, violate o rispettate. Lo fanno di solito soffrendo molto di più degli uomini, perché il mondo è ingiusto contro i poveri, contro la terra e anche contro le donne. Maria, come lo ha fatto?
Se leggiamo i Vangeli noi troviamo la donna che partorisce (cf. Lc 2), ma anche la credente, la profetessa e l’evangelizzatrice, la donna che dispone di sé senza chiedere il permesso al marito (cf. Lc 1), troviamo la donna povera che ha il coraggio di mandare avanti la storia della salvezza a costo della propria vita (cf. Mt 1), troviamo la discepola attenta ascoltatrice della parola e contemplatrice della storia (cf. Lc 2), la donna preoccupata per il proprio figlio fuori controllo (cf. Mc 3.6).
Gesù espressamente sposta la lode di Maria dalla maternità all’ascolto della Parola (cf. Lc 11), come il papa spiega così bene in Aperuit illis, e quello che si dice di lei è vero per ogni credente, uomo o donna. Prolungare la presenza di lei nella Chiesa, significa allora prolungare l’ascolto, la fede, il coraggio, la testimonianza. Si potrebbe vederla anche come maestra per Gesù, quanto gli l’ora propizia per rivelarsi, dirigendo il cammino di lui con discrezione, ma anche con l’autorità di una maestra (cf. Gv 2). Questo spiegherebbe perché poi, nell’ora suprema della croce, le venga affidato il discepolo (cf. Gv 19), ovvero colui che deve camminare sulla strada di Gesù.
Infine Luca (cf. At 1-2) ce la presenta nel cenacolo fra coloro su cui scende lo Spirito e che annunciano per primi il Vangelo. Ella è così a tutti gli effetti tra i testimoni della prima ora, anzi è quella che ha creduto per prima. Fra i testimoni apostolici, che non sono certo solo i dodici (basti vedere 1Cor 15) lei è la più autorevole. Le donne allora devono prolungare questa presenza apostolica, sempre che gliene venga data la possibilità. Se non si vuole aprire per ora ad un ministero (forse per questo ci vorranno eventi prodigiosi simili a quelli narrati in At 9-10 quando non si riusciva a credere che lo Spirito potesse scendere anche sui pagani), possiamo almeno smettere di pensare al ministro come uno sposo e magari – come fa Paolo nella lettera ai Galati e nella seconda ai Corinzi – potremmo pensarlo (questo sì!) in termini materni: come uno che mette al mondo, fa crescere, nutre, insegna a parlare.
Qualunque cosa decidiamo, però, preoccupiamoci di non mortificare lo Spirito, quello che abita tutti i credenti, donne comprese. Il papa mi sembra voglia andare in questa direzione, ma il passo è troppo corto, molto probabilmente perché non gli è sembrato possibile farlo più lungo. Per ora. Solo per ora.