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Università on-line? Tirocinio “on-life”

SCRIVI PresDonna!

Un martedì di inizio dicembre. 2020.

Da un mese a questa parte sto svolgendo uno stage universitario presso una fondazione culturale che non risiede nella mia città. Mi alzo presto la mattina, esco di fretta per raggiungere la stazione a piedi, prendo il treno che, puntuale, mi porta a destinazione. Il freddo si fa sentire: la nebbia avvolge il paesaggio, il vento spoglia gli ultimi colori dell’autunno.

Arrivata in città esco dalla stazione, costeggio le anse del fiume che passa proprio davanti alla mia sede, fino a giungere alla soglia dell’edificio. Entro. Mi siedo e apro il pc. Vedo sul calendario i giorni che passano, noto anche oggi che le restrizioni imposte non mi permetteranno di svolgere le attività inizialmente previste entro la fine del periodo di tirocinio. E mi rendo conto che, purtroppo, neppure oggi potrò accogliere i turisti, spiegando loro quanto bello e imponente sia il patrimonio artistico che la città custodisce; non potrò dialogare con i volontari – anima della fondazione – o incontrare stranieri che mi permetteranno di allenare la lingua inglese, o semplicemente di uscire da un guscio di timidezza che, con gli anni, la vita ha inspessito.

Allora mi fermo, alzo lo sguardo. Mi sposto dalla scrivania, andando verso l’uscita. Un dettaglio colpisce la mia attenzione: quella che in quell’istante era diventata per me zona d’uscita, in realtà era la stessa da cui la mattina avevo fatto ingresso in fondazione, la stessa che non ha accolto turisti, ma ha accolto me; Il volto nascosto dalla mascherina, passi avidi di cammino, pensieri difficili da trattenere.

La bellezza. Un piccolo miracolo operato da una legnosa porta a battenti incardinata nel marmo, nel territorio, quasi come un albero che fonda le sue radici nel terreno perché sa che la profondità gli garantisce sicurezza, frutto. Futuro. Questa porta, che aprivo quotidianamente senza particolare interesse, in quel momento aveva risvegliato dentro di me un desiderio innato di accoglienza: non di persone, ma di relazioni, di vita forse. E da questo martedì, allora, la porta d’ingresso non è più chiusa, ma semplicemente accostata, per permettere passaggi continui, scambi, emozioni, il calore del sole che riempie, entrando dalle vetrate e illuminando uno spazio in ombra. In un tempo in cui tutto si sta spostando su altre soglie (virtuali e inconsistenti) ho potuto percepire una volta di più quanto sia fondamentale non perdere contatto con la realtà in cui sono immersa, perché unica porta attraverso la quale mi sarà possibile continuare ad accogliere quello che la vita riserverà.

Anche nel mezzo di una pandemia globale, “c’è sempre un buon motivo per vivere” (cit.).

L.I.

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